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Gek Tessaro

«Racconto storie con il disegno e so che è un privilegio perché quello di raccontare è il più bel mestiere del mondo».

Presentazione
“Autore poliedrico, Gek Tessaro si muove tra letteratura per l’infanzia (ma non solo), illustrazione e teatro. Dal suo interesse per “il disegnare parlato, il disegno che racconta” nasce “il teatro disegnato”. Sfruttando le impensabili doti della lavagna luminosa, con una tecnica originalissima, dà vita a narrazioni tratte dai suoi testi. La sua capacità di osservazione e di sintesi si riversa in performance teatrali coinvolgenti ed efficaci. Ha collaborato con diverse case editrici e i suoi libri hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Presenta regolarmente spettacoli in teatri, scuole e biblioteche in tutta Italia. Ha partecipato a numerosi festival e manifestazioni culturali”. (tratto dal sito www.gektessaro.it)



Intervista
Gek Tessaro vive a Verona con la moglie Lella - sua preziosa collaboratrice - e gira l’Italia in camper. Nella sua presentazione, si legge che da piccolo aveva poca voglia di studiare e combinava parecchi guai, ma riusciva sempre a farsi perdonare perché regalava a tutti un disegno, ai professori, agli amici, ai familiari. «Mio padre diceva: “Questo ragazzo è un assassino ma sa disegnare”. In quel periodo disegnavo molti cavalli, molti davvero». Adesso, che è diventato grande, per mestiere continua a disegnare e a raccontare storie attraverso le immagini che però non sono ferme, ma nascono e si sviluppano nella lavagna luminosa che proietta sul muro le immagini, ingigantendole. La suggestione data dal buio, insieme alle parole del narratore e alla musica completano la magia dei suoi spettacoli.

«Tutti noi rimaniamo estremamente affascinati dal veder fare, dal veder costruire qualcosa. Banalmente perfino la buca che gli operai fanno per strada è molto interessante. Tutto quello che viene fatto attrae, crea curiosità. Facevo i laboratori con i bambini e mi rendevo conto che nel momento in cui iniziavo a disegnare stavano tutti zitti. A quel punto ho pensato che avrei potuto raccontare queste stesse storie in un’altra maniera. Ho ideato una specie di teatro disegnato e funziona. Il concetto è: creare la curiosità nel vedere cosa verrà fuori, nel capire il seguito della storia».

Nei sui spettacoli non manca mai la musica. Sarà che ha suonato per nove anni chitarra classica, ma per Gek la musica è una componente fondamentale. «Io disegno proprio sulla musica. Disegno proprio sulle note anche seguendo il ritmo. Questo fa parte della mia ricerca, perché amo molto la musica e spesso viene considerata di sfondo, mentre nel mio lavoro cerco di renderla protagonista».

Attualmente propone sei diversi tipi di spettacoli in cui si individuano dei temi ricorrenti. «Ho la fortuna di essere un autore e di potere decidere di cosa parlare. Per cui uso questo grande e assoluto privilegio giocandomelo sui temi che a me sono più cari, che sono: l'ecologia e l'imbecillità della guerra, che sono anche temi estremamente attuali. Un altro tema è: l'incontro nelle differenze. Nello spettacolo “I bestiolini” tratto, attraverso gli insetti, del concetto delle differenze, del concetto della conoscenza degli altri. La mia idea è: più conosco, più il mondo mi appartiene e più io appartengo al mondo. Al contrario più resto dentro la mia casetta, più mi richiudo nel mio condominio, più sono spacciato».

Oltre a questo aggiunge che «abbiamo il diritto all'utopia, di pensare che quello che facciamo possa servire a qualcosa». Le storie di Gek, quindi, hanno tutte una morale perché anche se «non vorrei essere un autore morale, penso che sia impossibile non esserlo, perché hai la possibilità di dire quello che vuoi tu, di esprimere il tuo punto di vista e, anche se sai che probabilmente non smuoverai le montagne, il tuo pensiero esce sempre ed è comunque un gesto, un segnale». Altra cosa è definirsi un artista. Gek ha pubblicato perfino un libro su questo tema dal titolo “Rimanere” del 2012. «Rifuggo un po' la parola artista, come la parola arte. Che cosa è l'arte? È la considerazione di qualcuno che è stato? e chi sono gli artisti? La maggior parte degli artisti sono persone che hanno vissuto una vita d'inferno, per essere riconosciuti da morti. Michelangelo Buonarroti, che io considero uno dei più grandi, ha vissuto una vita d'inferno. Il suo unico scopo assoluto era procurarsi il pane. Van Gogh è morto pensando di essere un fallito. Mozart fu seppellito nelle fosse comuni. Ligabue era una persona che non avrebbero mai fatto entrare in un teatro, perché era un matto. Caravaggio era un violento… Pensa la distanza di questa cosa qua, dall'idea che abbiamo noi dell’arte. Il problema è questo concetto del sublime, dell'uomo artista che più sensibile degli altri. A me non convince e la rifiuto. È una categoria a cui non mi sento di appartenere. Io sono un artigiano. Io racconto storie. Io faccio questo di mestiere. Sono onorato di farlo. È un mestiere di grande privilegio e sono molto fortunato. Ho intrapreso questa strada. E io credo che tutte le strade che uno intraprende diventano potenti e forti perché c'è uno sbilanciamento che deve essere orientato da qualche parte. Per riuscire poi, c’è tanto lavoro dietro, c'è tanto sudore che non dipende dal sacro furore dell’arte».

In chiusura, aggiunge «un'altra cosa mi sta a cuore dire proprio per il ruolo del mio lavoro: noi educatori non dobbiamo fare “gli artisti”. Il mio compito non è far vedere quanto sono bravo. Il mio compito è farti vedere che si può. Il mio lavoro di educatore non è insegnarti a vincere le olimpiadi di nuoto; è farti vedere quanto è divertente l’acqua. La cosa di cui sono più fiero del mio lavoro è quando i bambini, dopo i miei spettacoli, vanno a casa a disegnare. Non vanno a casa a dire che smetteranno di disegnare perché tanto a quella roba la non ci arriveranno mai. Vanno a casa e si mettono a disegnare perché intuiscono e capiscono che è una cosa potentissima, meravigliosa, divertente e fattibile per tutti».

Alessandria 26 novembre 2016



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