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RIAPRIRE I NIDI E LE SCUOLE? CERTAMENTE, MA PENSANDO BENE A "QUANDO" E SOPRATTUTTO A "COME"

di Aldo Fortunati

Si sente parlare di riaperture. Voci disordinate che fanno capire che a spingere è il mondo della produzione ma che non fanno intravedere un progetto che tenga conto delle necessarie garanzie: vengono i brividi a pensare – come in realtà tutti sanno, sebbene alcuni facciano finta di non saperlo – che una riapertura senza garanzie è solo il preludio di un nuovo scivolone molto doloroso.

Si conferma, nella circostanza, che si pensa a come organizzare i luoghi di produzione o in generale di lavoro senza pensare che i lavoratori sono innanzitutto persone e così si pensa alla ripresa delle attività senza pensare all’impatto di questo in una situazione in cui nidi e scuole sono chiusi: non c’è solo il tema della sicurezza del lavoro, c’è anche quello di dove e con chi si lasciano i bambini.

Certo la scuola – soprattutto quella secondaria superiore, come pure l’università, meno la secondaria e meno ancora la primaria – può tollerare, e anche beneficiare, di espandere fortemente la didattica a distanza, restringendo le attività in presenza, sia nei prossimi mesi di necessaria pausa che forse anche dopo.

Ma questo non può funzionare per lo 0-6, perché in questo caso la didattica – meglio chiamarlo progetto educativo – è fatto di una cura della relazione e del fare che non si adatta alla distanza o alle dimensioni virtuali, ma che necessita di condivisione reale.

Questo problema – probabilmente non lo si percepisce in modo chiaro – non riguarda solo (si fa per dire) i 300.000 bambini che oggi frequentano un nido; se pensiamo allo 0-6, stiamo parlando di quasi due milioni di bambini, e di quasi due milioni di famiglie.

Forse nell’immediato dobbiamo pensare a sostenere le famiglie perché possano organizzare situazioni di cura per i loro figli mentre riprendono le attività di lavoro dei genitori, ma a nessuno sfugge che questo vuol dire – di fatto – alimentare una triplice rischiosissima prospettiva:

  • che i genitori, dicasi le madri, restino a casa, scambiando i sostegni economici con il proprio desiderio di lavorare;

  • che si alimenti un mercato del lavoro educativo sommerso – le babysitter – e anche per questo sottoqualificato e sottopagato;

  • che anche i bambini finiscano per restare a casa, esclusi da quella dimensione di socialità fra pari che rappresenta la naturale cornice per le loro esperienze di relazione, conoscenza e apprendimento.

Per non parlare di quanto questo costa (giusto farlo in urgenza, sebbene in deficit, impossibile farlo, almeno per noi, in modo strutturale).

Forse dovremmo cominciare a pensare che lo smart-working non deve distinguere solo la tipologia di lavoro (sembra automatico per un dipendente pubblico non impegnato in sanità o polizia) ma anche la tipologia di lavoratore (forse chi ha un bambino piccolo dovrebbe averlo anche se lavora in una fabbrica, per fare temporaneamente attività amministrativa, anche se è un operaio).

Ma, al di là di tutto, quel che sembra mancare all’attenzione è la messa a fuoco di come potranno riaprire proprio quelle attività educative e scolastiche che non solo rispondono a un diritto fondamentale dei bambini e dei ragazzi, ma costituiscono insieme un ingrediente fondamentale per consentire ai genitori di conciliare lavoro e cura.

In tutto questo si potrà/dovrà pensare anche a come organizzare – soprattutto nella prima fase di riavvio – nidi e scuole dell’infanzia; noi proponiamo:

  • di sottoporre a verifica sanitaria preliminare sia i bambini e le loro famiglie che ovviamente educatori e operatori;

  • restringere la frequenza piena ai bambini con entrambi i genitori che lavorano “in presenza”, dedicando agli altri bambini (in orari diversi) situazioni di incontro e socialità nell’arco della settimana;

  • espandere in ogni caso le esperienze che – curioso paradosso italiano – non sempre è abitudine svolgere negli spazi esterni dei nostri nidi e scuole dell’infanzia.

E infine – ma non da ultimo – rendiamo subito questi servizi gratuiti, diffusi e di qualità: costano molto meno di quanto non costino tutte le possibili alternative e – soprattutto – sono l’unico modo di pensare ai diritti dei bambini, alle pari opportunità per donne e uomini e insieme anche a buone prospettive di sviluppo civile ed economico per le nostre comunità.

Lavoriamoci tutti insieme.








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