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IMPRESSIONI - E DESIDERI - DI PRIMAVERA. Un anno dopo: purtroppo, vaccino a parte, nulla di nuovo sotto il sole

di Aldo Fortunati

 

Un brutto compleanno

Da poco celebrato il compleanno meno memorabile della nostra storia italiana.

Quello in cui, accanto al dato relativo ai tanti morti in più che hanno accorciato – per il loro essere soprattutto persone anziane – il nostro sguardo sul passato, sono anche nati meno bambini di sempre, il che accorcia allo stesso tempo la nostra capacità di sguardo sul futuro.

Schiacciati nel presente di una crisi pandemica nella quale siamo stati capaci principalmente di oscillare fra l’immobilismo e il desiderio di ritorno alla situazione precedente, ci è mancata la capacità di uno sguardo che comprendesse la dinamica del tempo in cui stiamo transitando, e la conclusione è stata che non siamo stati capaci di proteggere i nostri vecchi nello stesso momento in cui abbiamo subìto la mutilazione del nostro ottimismo sul futuro, quello stesso sul quale scommettiamo quando decidiamo di avere un bambino.

 

Lo scivoloso dilemma della salute e dell’economia

Abbiamo sentito parlare molto della necessità di tenere in equilibrio salute ed economia, sottovalutando quanto l’economia è molto più facilmente inclinata al cinismo che al benessere diffuso delle persone.

E così a qualcuno è sfuggito di dire che gli anziani, come soggetti non più produttivi, possono aspettare. La gaffe, malcelata in ragione della incommentabile sincerità della dichiarazione, ha reso evidente cosa succede quando la politica perde il senso dell’umanità delle persone, verso cui peraltro dovrebbe rivolgersi la sua azione, per promuoverne le potenzialità. 

Non stupisce che il risultato sia stato, nei mesi più recenti, un adattamento progressivo ai dati quotidiani delle perdite, che sono scivolati quasi sullo sfondo, mentre il dibattito si è concentrato sulla necessità di preservare le attività economiche, con la sola esclusione di quelle che riguardano educazione, scuola e cultura.

 

Il risultato: una società sempre più lacerata da diseguaglianze

Dati duri che segnalano la nostra profonda e radicata incapacità di cogliere il senso del tempo che abitiamo, fino a rendere plateale la nostra incapacità di programmare il da farsi, anche quando è evidente che non accade nulla di imprevedibile e che, se le cose non vanno ancora bene, questo dipende innanzitutto dal fatto che non abbiamo fatto nulla di “strutturale” nemmeno quando eventi inattesi, come quelli di un anno fa, ci hanno segnalato l’urgenza di intervenire per cambiare le regole del gioco.

E così tutti gli indicatori sono andati nella direzione sbagliata:

• quelli del benessere, con una forbice sempre più aperta fra pochi ricchi e tanti poveri, ma anche con crescenti segnali di diffuso disagio psicologico (depressione) e fisico (malnutrizione e altri guai);

• quelli della povertà educativa, con un devide spaventoso che esclude di fatto dall’obbligo scolastico un terzo dei bambini e dei ragazzi e che fa passi indietro verso un pericolosissimo nulla nel caso dei primi anni di vita, con crescenti segnali di crisi del tuttora fragilissimo sistema dell’offerta dei nidi, e non solo privati;

• quello della regressione nelle mura domestiche dei bambini e delle donne, una esatta reiterazione del vecchio sortilegio che tiene le donne fuori dal mercato del lavoro e che le espone, insieme ai bambini, a ogni forma di violenza e abuso (tutte in aumento, compresi i femminicidi) per macchiare inesorabilmente la vita dei bambini e degli adulti ogni volta che le pareti domestiche diventano confine della socialità.

 

Vaccino , ma per favore non solo contro il covid

In tutto questo, l’unica luce dal fondo del tunnel sembra quella del vaccino, passando oltre – speriamo il prima possibile – ai ritardi di acquisizione, che pure mascherano la crescente impressione di sgomento circa le gigantesche inefficienze del sistema di distribuzione e le solite furbizie italiche nel cercare di fregare gli altri saltando la coda.

La verità è che dovremmo puntare a una forma di vaccinazione che non solo ci salvi dal virus, ma che ci consenta di immaginare il futuro in un modo diverso che come la solita riproduzione del passato. Per questo occorre rafforzare la debolissima qualità delle infrastrutture del Paese, di cui fa parte anche la miseranda condizione delle strutture educative e scolastiche, questioni su cui un anno non è valso nemmeno per disegnare un progetto di intervento.

Il rischio – tutt’altro che peregrino – è che, altrimenti, anche le conquistate risorse di “next generation EU” avranno come effetto soprattutto la crescita del debito, piuttosto che delle potenzialità del sistema Paese.

 

E i bambini? 

Ancora molto lontani dall’essere riconosciuti come soggetti di diritto e dunque come portatori di interessi ben più che legittimi, come il diritto alla socialità, al gioco e all’educazione. 

Nessuno pensi che ci siano loro dietro la riapertura dei nidi, delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie. C’è come sempre l’idea che i bambini bisogna piazzarli da qualche parte perché se no i genitori non possono andare a lavorare; infatti, quando non è questo il problema, come nel caso delle scuole secondarie e delle università, la didattica in presenza scompare di fatto dalla scena.

Sebbene non sia facile essere ottimisti, è chiaro che la primavera del Paese dipenderà dalla capacità che avremo di curarci proprio e innanzitutto dei bambini, dei pochi che ci sono e dei molti di più che speriamo ci saranno quando riusciremo a smettere di mettere in contrapposizione la salute con l’economia, la cura con il lavoro e le donne con i bambini e capiremo che solo una comunità sociale che accoglie i nuovi nati prendendo su di sé la responsabilità della loro cura e della loro educazione sarà capace di offrire un potenziale al proprio futuro.

 

Tutti parlano della necessità di sviluppare il sistema dei nidi e dello 0-6. 

Proviamo a smettere di parlarne e a farlo davvero.








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